giovedì 28 giugno 2007


STORIA DEL PIANOFORTE

Strumento a corde percosse mediante martelletti posti in azione dai tasti. E’ solo considerando la formazione del Pianoforte per mezzo della vibrazione di corde sonore, indipendentemente da mezzo con cui tale vibrazione è prodotta, che possiamo far risalire le sue origini alla più remota antichità, ma tali origini restano sempre abbastanza vaghe. Il più lontano antenato del Pianoforte fu il MONOCORDO, che gli antichi adoperavano soprattutto per conoscere e fissare i rapp­orti matematici dei suoni (la lunghezza dell’unica corda veniva mutata per mezzo di un cavalletto mobile). E’ certo che al monocordo vennero aggiunte in seguito altre corde. L’helicon, descritto da Aristide Quintiliano (sec. II d. C.) non è che l’antico monocordo, ma con quattro corde; e lo strumento a 19 corde descritto da J. de Muris, nel suo Musica speculativa (1323), non era che un ulteriore arricchimento del monocordo. In questi strumenti la corda veniva messa in vibrazione con le dita: come nel salterio e nel timpanon, strumenti di origine orientale. Il salterio era una specie di cassa armonica di forma trapezoidale irregolare sulla quale erano tese varie corde messe in vibrazione dalle dita del suonatore; non molto diversa era la forma del timpanon, ma in questo le corde venivano percosse e non pizzicate dal suonatore per mezzo di due bacchettine di legno duro (come nel cjmbalum ungherese attuale). E’ in questo che, probabilmente, si trova l’origine del Pianoforte attuale. L’idea di applicare una tastiera (come quella già in uso negli organi) a questi strumenti dovette presentarsi assai presto; già fra i secc. VIII e XI era in uso l’organistrum, specie di viola dotata di tasti, ma il primo strumento che si può considerare come un vero e proprio antenato del Pianoforte è il CLAVICORDO. In esso le corde erano disposte parallelamente alla tastiera, e non perpendicolarmente come nel Pianoforte moderno. I tasti mettevano in azione non già dei martelli, ma alcuni “bracci di leva” i quali, percuotendo la corda, la dividevano al tempo stesso in due parti disuguali, una delle quali vibrava libe­ramente, mentre le vibrazioni dell’altra erano impedite dal “braccio di leva”, cosicché la stessa corda poteva dare suoni diversi (4 o 5), e i tasti erano in numero assai maggiore delle corde.
Parallelo al clavicordo, per quanto la sua apparizione sia posteriore a questo di qualche decennio, è il CLAVICEMBALO Clavicordo e clavicembalo furono in gran voga fino alla fine del sec. XVIII, ma l’impossibilità di tenere un suono per un certo tempo stimolò a cercare un’altra soluzione. Nei primi anni del 1700 furono parecchi i costruttori che si dedicarono a risolvere il problema, ma solamente intorno al 1711 il padovano B. Cristofori presentò lo strumento che può essere considerato come il primo Pianoforte moderno. Al saltarello del clavicembalo B. Cristofori sostituì un martelletto di legno duro, fasciato di feltro e destinato a percuotere (non più a pizzicare) la corda direttamente, ottenendo così un altro carattere e una maggior intensità di vibrazioni e la possibilità di variare l’intensità del suono, secondo la maggiore o minore forza che il tasto comunicava al martelletto; modificò la meccanica dello strumento per mezzo di uno « scappamento a molla» che obbligava il martelletto a ritornare in posizione di riposo non appena la corda fosse stata percossa, e di un cuscinetto destinato a ricevere il martelletto e a smorzare l’urto che il martelletto avrebbe ricevuto nella caduta; infine aggiunse gli smorza­tori, uno per ogni nota. Lo strumento fu accolto più con curiosità che con simpatia (Bach e Mozart si dichiararono per il clavicembalo) e fu solamente verso la fine del sec. XVIII che il Pianoforte cominciò a imporsi. Uno degli apostoli del nuovo strumento fu il romano Muzio Clementi, pianista e compositore e, più tardi, costruttore di Pianoforti egli stesso. Nel 1823 il francese Sébastien Érard, proprietario e costruttore di una fabbrica di Pianoforti, inventò il «doppio scappam­ento» e sostituì ai perni di legno quelli di acciaio. Il nuovo ritrovato, che permette di ribattere una nota con quanta velocità si voglia, fu un nuovo perfezionamento che permise al Pianoforte di im­porsi, e ai compositori di creare uno «stile pianistico» tanto diverso dallo «stile clavicembalistico », quanta era la diversità dei due strumenti. La prima fabbrica di Pianoforti fu organizzata in Ingh­ilterra nel 1770: qualche anno dopo le fabbriche si moltiplicarono. In Francia: Érard, Pleyel, Gaveau, ecc.; in Germania: Stein, Bechstein, Blùthner, ecc.; in Inghilterra: Broadwood, Collard (della quale fu socio Clementi), ecc.; in America: Steinway. Fu in America, a Filadelfia, nel 1800 che I. Hawkins fece brevettare una forma di Pianoforte « verticale» (Portable Grand Piano), costruito sul modello del Piano-giraffe dell’inglese R. Stodart (1795); sembra però ch’esso fosse stato realizzato più di mezzo secolo prima, in Italia, da Domenico Del Mela di Gagliano. La nuova forma dello strumento, più maneggevole ed economica, ne favorì la diffusione sia nell’ambie­nte artistico sia in quello dei dilettanti. Così il Pianoforte, per la sua natura, si prestava sia ad offrire ai compositori un nuovo mezzo espressivo sia, e questo, forse, contribuì maggiormente alla sua diffusione, a eseguire in forma di sunto (riduzione) composizioni scritte per complessi strumentali anche assai numerosi. Come tale si può dire che il Pianoforte fu veramente il veicolo della cultura musicale moderna. Tra gli altri vantaggi non bisogna dimenticare quello di poter essere suonato da due esecutori (Pianoforte a quattro mani) per esecuzioni più complesse; e la possibilità d’esser trattato sia come strumento d’orchestra (solista o concertante), sia in gruppi autonomi, come nelle Noces di Stravinskij, in cui l’organico è rappresentato da quattro Pianoforti e strumenti a percussione.
STRUTTURA
I tipi di Pianoforte oggi in uso sono due: quello a coda (che secondo la dimensione può essere a 3/4, a mezza coda, a 1/4), in cui la disposizione delle corde è orizzontale e in prolungamento del sistema di leve comandate dai tasti (meccanica); e quello verticale, in cui le corde sono disposte verticalmente e perpendicolarmente alla meccanica e alla tastiera. Questo per le differenziazioni esterne: quanto alla meccanica, a parte qualche dettaglio, la costruzione è quasi identica per i due modelli. Così si può dire che il Pianoforte è costituito essenzialmente di una cassa armonica, cioè il corpo principale dello strumento, la cui forma corrisponde alla forma del pianoforte. Nella cassa armonica sta il pancone (o somiere), tavola di legno robustissimo, sulle estremità della quale vengono conficcate le ca­viglie (piroli o cavicchi) girevoli, destinate a fissare la tensione delle corde. Nei Pianoforti moderni il pancone è sostituito da un robusto scheletro di ferro fuso o di bronzo, con molto maggior vantaggio per la durata e la resistenza della tensione delle corde, la quale si ottiene serrando con apposita chiave le caviglie. Il sistema delle corde era in origine disposto su per giù come quello dell’arpa, ma da una cinquantina d’anni a questa parte gode maggior favore una disposizione a forma di due arpe triangolari sovrapposte (sistema a corde incrociate), ciò che favorisce un più libero gioco di risonanza e nello stesso tempo offre la possi­bilità di ridurre le dimensioni dello strumento. Le corde sono di acciaio: quelle del registro più grave, di diametro maggiore, sono fasciate da un filo di rame e ognuna basta a una nota. Nel registro grave ogni martelletto percuote due corde (accordate all’unisono, bene inteso), nel registro medio e nell’acuto a ogni nota corrispondono tre corde (accordate egualmente all’unisono). L’estensione del Pianoforte è generalmente sette ottave, dal al alcuni Pianoforti, però, tendono ad aumentare questa estensione sino al fa.
L’accordatura del Pianoforte è basata sul sistema temperato: quello cioè entrato in uso nel sec. XVIII e che divide l’ottava in 12 parti uguali, identificando il diesis con il bemolle (re diesis = mi bemolle), ciò che non corrisponde agli intervalli della scala naturale, ma è universalmente accettato. Le corde sono messe in vibrazione dai martelletti azionati dalla tastiera. Si definisce così il sistema dei tasti, bianchi (corrispondenti agli intervalli naturali della gamma dia­tonica) e neri (i quali corrispondono ai suoni alterati della stessa gamma). I tasti sono aste di legno (leve), nella parte esterna rivestiti di materiale plastico o d’avorio quelli diatonici e d’ebano quelli cromatici, che comandano un meccanismo, il quale a sua volta aziona il martelletto che percuote la corda: quanto più il meccanismo è sensibile alle gradazioni di forza con cui il tasto è percosso, tanto più il pianista può comandare l’intensità della vibrazione ottenuta e per conseguenza del suono. Il martelletto, coperto di feltro finissimo, è scagliato contro la corda da un’articola­zione di legno detta saltarello. Quando il martelletto batte sulla corda, il saltarello si solleva; appena avve­nuto il colpo il martelletto ricade, non nella posizione di riposo, ma in una intermedia, dove rimane finché il tasto è abbassato. L’atto del dito che preme il tasto non fa soltanto alzare il martelletto, ma solleva pure lo smorzatore, piccolo pezzo di legno coperto di feltro, che, ordinariamente, sta a contatto della corda; esso riprende la posizione solamente quando il tasto è tor­nato in posizione di riposo; ciò permette di prolungare a volontà, per quanto è compatibile con la durata delle vibrazioni, la durata delle note. Per ottenere la migliore disposizione degli armonici il martelletto batte sulla corda tra un settimo e un nono della sua lun­ghezza; il punto di contatto varia però secondo i costruttori.
A completare il meccanismo della produzione del suono il Pianoforte ha tre pedali. Quello di destra, detto im­propriamente forte (e il suo impiego è indicato dal segno pedale che si prolunga fino a *: nelle edizioni moderne da una linea ininterrotta per tutta la durata in cui il pedale deve essere tenuto abbassato), scosta leggermente tutti gli smorzatori e permette alle corde di vibrare liberamente e, più ancora, di rinforzare il suono per mezzo delle vibrazioni di simpatia armonica. Il pedale di sinistra (che si indica con le parole una corda) ha per funzione di spostare tutto il meccanismo verso destra, in modo che i martelletti anziché su tre, percuotano sopra un’unica corda riducendo così sen­sibilmente il volume di suono. Il terzo pedale, che manca in alcuni Pianoforti, ha funzione di sordina: abbassan­dolo si fa scendere tra le corde e i martelletti una striscia di panno che attenua sensibilmente le vibra­zioni. I pedali si adoperano isolati oppure accoppiati secondo le indicazioni dell’autore o il criterio dell’interprete.

lunedì 4 giugno 2007


IL PIANOFORTE: una delle mie passioni.


Il pianoforte è uno strumento musicale in grado di produrre un suono grazie a corde che vengono percosse per mezzo di martelletti azionati da una tastiera. Fa parte, quindi, dei cordofoni a corde percosse.


Pianoforte a un quarto di coda
L'origine della parola pianoforte è italiana ed è riferita alla possibilità che lo strumento offre di suonare note a volumi diversi in base al tocco, ovvero alla forza delle sue dita sui tasti. Possibilità negata invece da strumenti precedenti quali il clavicembalo. Anche mediante l'intervento sui pedali, che azionano particolari meccanismi, l'esecutore può modificare il suono risultante.
Chi suona il pianoforte viene chiamato pianista.
In quanto strumento dotato di una tastiera e di corde, il pianoforte è simile al clavicordo e al clavicembalo, dai quali storicamente deriva. I tre strumenti differiscono nel meccanismo di produzione di suono.
Nel clavicembalo, le corde vengono pizzicate da due plettri posizionati su un'asticella che si alza quando il tasto viene abbassato, non permettendo così di "colorire" il suono.
Nel clavicordo, le corde vengono colpite da tangenti che possono rimanere in contatto con la corda stessa in base alla durata dell'azionamento del tasto.
Nel pianoforte, le corde sono colpite da martelletti che immediatamente rimbalzano, permettendo quindi alla corda di vibrare liberamente, fino al rilascio del tasto che provoca l'intervento dello smorzatore.

[modifica] Storia
Il primo prototipo del pianoforte si ebbe all'inizio del settecento, nel momento del maggior splendore dell'arte clavicembalistica. Fino a poco prima infatti vi era il predominio delle corde pizzicate, invece delle corde percosse, anche se erano nati il clavicordo e il pantaleon.
Il primo modello di pianoforte fu messo a punto da Bartolomeo Cristofori, liutaio e cembalaro, padovano alla corte fiorentina di Ferdinando de' Medici, a partire dal 1698. L'errore comune di far risalire lo strumento al 1711 è dato dal fatto che la notizia dell'invenzione fu scritta da Scipione Maffei nel "Giornale de' Letterati d'Italia" del 1711.
Per la precisione era un "gravicembalo col piano e forte", chiamato verso la fine del settecento con il nome "fortepiano" la novità era l'applicazione di una martelliera al clavicembalo. L'idea di Cristofori era di creare un clavicembalo con possibilità dinamiche controllabili dall'esecutore; nel clavicembalo infatti le corde pizzicate non permettono di controllare la dinamica. Anche per questo motivo, pianoforte e clavicembalo non appartengono alla stessa sottofamiglia. L'idea geniale di Cristofori fu appunto la meccanica moderna, ovviamente semplificata rispetto a quella odierna (scappamento semplice): smorzatori, martelletti indipendenti dalla tastiera, scappamento.
Questo nuovo strumento permise ai nuovi interpreti di ottenere sonorità più o meno forti a seconda della pressione delle dita sui tasti, a differenza dell'organo e del clavicembalo.
Uno dei primi problemi che si presentò fu quello dello scappamento (sistema che permette ad una corda di vibrare riportando il martelletto al proprio posto dopo che questo ha percosso la corda) che fu perfezionato da Cristofori nel 1720.
Nel 1721 Christoph Gottlieb Schrőter presentò un modello di fortepiano all'Elettore di Sassonia a Dresda, senza successo.
Il fortepiano non ebbe successo in Italia, ma l'idea finì molti anni dopo in Germania, dove il costruttore di organi Gottfried Silbermann nel 1726 ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori, che sottopose tra l'altro al parere di Johann Sebastian Bach, al quale piacque solo in un secondo momento. Piacque molto invece a Federico II di Prussia, che ne comprò sette per 700 talleri, per arricchire i propri palazzi.

Martelletti: le corde non vengono più pizzicate, ma percosse
Alla bottega dei Gottfried Silbermann si formò André Stein, il quale - dopo essersi reso indipendente - perfezionò ad Augusta in un proprio stabilimento i sistemi dello scappamento e degli smorzatori. Nel 1777 ricevette la visita di Wolfgang Amadeus Mozart, il quale fu molto entusiasta di come quello strumento potesse avere infinite possibilità espressive. I figli di Stein si trasferirono in seguito a Vienna dove crearono una fabbrica di fortepiani. A Vienna, Nanette, figlia di André Stein, sposò Andreas Streicher: per molto tempo i loro fortepiani furono considerati i migliori d'Europa.
Nel 1758 Christian Ernst Friederici creò il primo pianoforte "a tavolo" che assomigliava per molti versi al clavicordo e alla spinetta, però era più commerciabile perché costava e ingombrava di meno dei modelli "a coda".
I primi "pianoforti verticali" furono creati forse nel 1780 da Johann Schmidt di Salisburgo o nel 1789 da William Southwell di Dublino. Alcune fonti fanno risalire i primi pianoforti verticali con quelli del sacerdote Domenico Del Mela, che in realtà erano a coda ma messi in posizione verticale, molto simili ai piano-giraffe del 1795 inventati in Inghilterra da Robert Stodart.
I costruttori francesi più famosi furono Sèbastien Érard e Ignace Pleyel, i cui modelli piacquero molto a Chopin, Dussek e Thalberg.

[modifica] XIX secolo
Nel XIX secolo si ebbe un incremento delle corde e della loro lunghezza; il pianoforte aveva bisogno di un'intelaiatura più robusta e il legno non era più adatto per sopportare la tensione. Nel 1808 Broadwood creò dei rinforzi metallici sul telaio, perfezionandoli nel 1822. Nel 1831 l'inglese Thomas Allen inventa un telaio metallico. Nel 1872 Theodor Steinway brevettò un tipo di telaio chiamato "cupola iron frame", mentre nel 1874 inventò il pedale tonale, il cui effetto è quello di mantenere sollevati gli smorzatori dei tasti che vengono premuti nel momento in cui viene abbassato il pedale.
Nella seconda metà dell'800 spiccarono altre case costruttrici tedesche come la Blüthner, la Bechstein, la Ibach, Schidmayer, Kaps, Forster, Rönisch e la Steinweg. Theodor Steinway, figlio di Henri Engelhardt Steinweg si trasferì a New York, dove fondò la Steinway & Sons ("Steinway" è l'anglicizzazione del cognome tedesco "Steinweg"): altre filiali furono create a Londra e Amburgo. In Austria fu fondata nel 1828 la Bösendorfer. In Inghilterra comparvero la Collard (ne fu socio Muzio Clementi), la Hopkinson e la Chappel. In Italia è tutt'ora attiva la Schultz & Pollmann di Bolzano anche se prevalgono le case straniere, come i modelli giapponesi della Yamaha e della Kawai. Attualmente sta acquistando prestigio internazionale la Fazioli di Sacile (PN).

[modifica] La struttura
Il pianoforte è costituito dalle seguenti parti principali:
la cassa e la tavola armonica
la struttura portante ed il rivestimento esterno di legno stagionato
la tastiera
la meccanica (martelletti, smorzatori, ecc...)
la cordiera
i pedali

[modifica] La cassa e la tavola armonica
La cassa e la tavola armonica sono fatte generalmente in legno di abete e pioppo. Il somiere, parte in cui stanno le caviglie (o piroli) per tirare o allentare le corde è fatto spesso in legno di faggio.

[modifica] La tastiera


Tastiera di un pianoforte
La tastiera è quella parte del pianoforte dove sono posizionati i tasti. La base su cui questa regge è spesso in abete. Lo strumento dispone generalmente di 88 tasti (sette ottave e una terza minore), 52 bianchi e 36 neri, disposti nella classica successione che intervalla gruppi di due e tre tasti neri. Esistono invece alcuni pianoforti (pochi modelli) che si estendono anche di 9 tasti oltre i normali 88, andando verso il basso. Come punto di riferimento centrale della tastiera viene preso il tasto Do, chiamato per questo "do centrale".
I tasti dei pianoforti più sofisticati sono spesso in avorio e ebano, mentre per i pianoforti comuni è usata generalmente la galatite.


Un'ottava con le sue alterazioni
La nota Do, a partire dalla quale è possibile eseguire la scala di Do maggiore, priva di alterazioni, è il tasto bianco situato esattamente prima di ogni successione di due tasti neri. Questi ultimi, in genere, in considerazione della tonalità della melodia da eseguire, vengono chiamati bemolle o diesis (più generalmente alterazioni) a seconda del caso in cui si riferiscano alla nota che li segue o a quella che li precede. Nei due casi, comunque, essi producono un suono che risulterà inferiore o superiore di mezzo tono rispetto ai tasti bianchi contigui. Ad esempio il tasto nero immediatamente successivo al Do si chiama Do diesis; lo stesso tasto nero, considerato come tasto immediatamente precedente il Re, si chiama Re bemolle.

[modifica] La meccanica

Martelletti, corde, smorzatori e piroli: la meccanica di un pianoforte verticale
La meccanica è una delle parti più fondamentali del pianoforte perché vi stanno tutta una serie di strumenti e sistemi che permettono la produzione del suono con l'azione del martelletto sulla corda attraverso la pressione del tasto.

[modifica] Funzionamento della meccanica
Quando si preme un tasto del pianoforte, che è una leva imperniata su un bilanciere, la sua parte posteriore (coda) si alza e il perno fa muovere il cavalletto, al quale è incernierato. La parte libera del cavalletto si solleva, trascinando con sé lo scappamento (un oggetto a forma di L) e lo spingitore. Lo scappamento mette in funzione un rullino in feltro che è fissato all'asta del martelletto che alla fine si solleva. Lo scappamento va verso l'alto fin quando la sua estremità non tocca il bottoncino di regolazione. Il martelletto continua la sua corsa colpendo le corde e separandosi dallo scappamento. Anche lo spingitore si alza e rimane sospeso fino a quando il tasto non viene rilasciato. Dopo aver percosso la corda, il martelletto ricade anche se non completamente; infatti viene fermato dal rullino dell'asta del martelletto che percuote lo spingitore, il quale è sollevato. Lo scappamento torna così alla sua posizione iniziale, cioè sotto l'asta del martelletto parzialmente alzato. Allo stesso tempo il paramartelletto che il martelletto rimbalzi sulle corde percuotendole nuovamente. Nel caso in cui il tasto venga rilasciato solo in modo parziale, il martelletto si muove libero dal paramartello mentre lo spingitore resta alzato. A questo punto se si preme di nuovo il tasto (che non è stato rilasciato completamente), lo scappamento è in grado di spingere di nuovo il rullino e l'asta del martello verso l'alto. Questo sistema è chiamato doppio scappamento e permette di eseguire rapidamente la ripetizione di una stessa nota senza che il tasto (e quindi anche il martelletto) ritornino alla propria posizione iniziale. Alla pressione del tasto viene attivato un montante che stacca lo smorzatore della corda relativa al tasto premuto, il quale permette alla corda di vibrare liberamente. Rilasciato il tasto, anche in modo parziale, lo smorzatore cade sulla corda bloccandone la vibrazione e tutte le parti della meccanica tornano alla loro posizione d'origine, grazie anche alla forza di gravità.
Il pianoforte verticale non dispone del doppio scappamento, inoltre non tutte le parti della meccanica tornano alla loro posizione iniziale grazie alla forza di gravità, perché i pezzi sono disposti verticalmente, per cui vengono utilizzate piccole strisce di feltro che aiutano nel meccanismo.

[modifica] Parti della meccanica


Schema della meccanica di un pianoforte orizzontale
martelletti: sono piccoli blocchi in legno rivestiti generalmente in feltro, azionati dalla pressione del tasti, che producono il suono percuotendo le corde. Appena la corda viene colpita dal martelletto, questo torna nella sua posizione iniziale, permettendo così alla corda di vibrare; quando il tasto viene rilasciato entrano in funzione gli smorzatori.
scappamento: è un meccanismo che permette al martelletto di tornare alla sua posizione iniziale, dopo aver percosso la corda, mentre il tasto è ancora abbassato. Generalmente nei pianoforti orizzontali esiste il doppio scappamento, un sistema che permette di ottenere due stesse note a distanza ravvicinata premendo lo stesso tasto due volte senza che questo si rialzi del tutto.
smorzatori: sono blocchettini di legno rivestiti in legno che hanno la funzione di soffocare la vibrazione di una corda.
caviglie (o piroli): sono le "chiavi accordanti" del pianoforte che hanno il compito di tenere le corde e permettere l'accordatura di esse.
corde: sono legate ai piroli e sono fatte in lega di acciaio. Variano di diametro e lunghezza a seconda del registro sonoro. Nei pianoforti verticali ogni martelletto batte su un gruppo di due o tre corde suonate all'unisono e su una singola corda più spessa (in genere rivestita di rame per appesantirla) per i suoni più gravi. Nei i pianoforti orizzontali ad ogni tasto corrisponde un gruppo di tre corde, tranne per i suoni più gravi, che, essendo la corda rivestita in rame, hanno solitamente due o una corda (più si va nella zona grave, più il numero delle corde diminuisce).

[modifica] I pedali


Pedali: una corda, tonale e risonanza.

Simbolo usato negli spartiti per indicare l'uso della risonanza.
I pianoforti possiedono due o tre pedali, a seconda del costruttore e dell'epoca di costruzione. Essi sono leve poste in basso centralmente, sono azionabili con i piedi. La loro funzione consiste nell'alterare il suono in vario modo.
Si distinguono i seguenti tipi di pedale:
risonanza o forte (normalmente a destra)
Tale pedale, una volta azionato, alza contemporaneamente tutti gli smorzatori, sorta di feltrini che hanno il compito di fermare le vibrazioni della corda immediatamente dopo il rilascio del tasto. Di conseguenza, azionando il pedale, le corde continuano a vibrare finché il suono non si spegne naturalmente. L'impiego di questo pedale aiuta a legare i suoni ed, eventualmente, a creare una sorta di alone timbrico e armonico.
una corda o piano o 1C (normalmente a sinistra)
Tale pedale, nei pianoforti a coda, sposta leggermente tutta la tastiera e la martelliera verso la destra dell'esecutore. In tal modo il martelletto azionato dalla pressione del tasto colpisce solamente una o due corde delle tre che sono associate a ogni tasto (nei medi e acuti ogni nota è intonata da tre corde all'unisono, nella parte alta dei bassi, cioè le corde filate, ogni nota è intonata da due corde, mentre l'ottava più bassa possiede una sola corda per nota: in questa regione quindi il solo effetto di questo pedale è lo spostamento del punto di contatto sul martelletto).
Nel dettaglio bisogna considerare anche che i martelletti sono ricoperti da feltrini nei quali si formano dei solchi dati dai ripetuti urti con le corde. Si agisce sulla durezza del suono ammorbidendo il feltro dei martelletti e quindi si può aumentare o diminuire l'effetto del pedale essendo il punto di contatto spostato rispetto a quando il pedale non è azionato. L'azione di spostamento della martelliera comporta che i feltrini dei martelletti urtino la corda in un punto diverso dai solchi e quindi in un punto in cui sono più morbidi. L'effetto è quello di produrre un suono più flebile, ovattato e intimo, adatto a creare particolari atmosfere sonore.
Il medesimo effetto (con risultato molto meno caratterizzato) viene ottenuto nei pianoforti verticali avvicinando i martelletti alle corde, e accorciando in tal modo il percorso che il martelletto compie per raggiungere la corda.
tonale (al centro)
Il pedale tonale è presente nei pianoforti a coda e deve essere azionato successivamente alla pressione di un tasto o di un gruppo di tasti. È in sostanza un pedale di risonanza che agisce solo per un gruppo limitato di tasti, quelli premuti immediatamente prima all'azione del pedale; gli altri non saranno interessati dalla sua azione.
sordina (al centro, solo negli strumenti destinati allo studio e solo nei pianoforti verticali, al posto del pedale tonale)
La sordina (presente anche in altri strumenti, vedi qui) è un pedale che aziona una leva, attraverso la quale viene interposto tra le corde e i martelletti un lungo panno di feltro. Il suono così ottenuto è piuttosto attutito. L'effetto, però, non è mai stato giudicato musicalmente gradevole, tanto che nessun compositore lo ha mai sfruttato. I pianoforti a coda ne sono sprovvisti ed anche i grossi pianoforti verticali hanno, in luogo della sordina, un pedale tonale.
La sordina ha un'utilità pratica, in quanto, abbassando il volume durante gli esercizi, consente di studiare a lungo senza disturbare parenti e vicini di casa.

[modifica] Tipi di pianoforte


Un pianoforte verticale Bösendorfer.


Un pianoforte digitale.
Esistono diversi tipi di pianoforte:
orizzontale: esistono a un quarto di coda, mezza coda, tre quarti di coda e a coda; producono, in ordine crescente, suoni sempre migliori a causa dell'ampiezza sempre maggiore della cassa armonica. È usato principalmente per concerti ed esibizioni.
verticale: è disposto verticalmente, così come la sua tavola armonica e le corde che stanno dietro alla tastiera La sua altezza oscilla tra i 100 e i 130 centimetri. È usato principalmente per lo studio a differenza di quello orizzontale usato prettamente per i concerti. Le differenze con il pianoforte orizzontale sono molte a partire dell'ampiezza della cassa armonica che è molto minore di quella di un pianoforte orizzontale. Le corde sono disposte verticalmente (quelle più gravi anche diagonalmente) e ad ogni nota corrispondono a seconda del tipo di suono, gruppi di una, due o tre corde. Sono forniti spesso di un pedale posto al centro chiamato sordina che serve per interporre tra i martelletti e le corde un panno di feltro che attutisce il suono e lo rende più ovattato: è stato creato principalmente per non dare troppo fastidio ai condomini di un palazzo. Nel corso della storia il pianoforte verticale ha subito molte modifiche; vennero create così anche diverse tipologie.
a giraffa: è il prototipo più antico di pianoforte verticale, inventato tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo. Fu inventato nel 1739 da Domenico Del Mela, originario del Mugello. La sua meccanica sta sopra alla tastiera, dietro alla tavola armonica. Non è fornito di scappamento.
a piramide: fu costruito nel XVIII secolo e fu utilizzato molto a Vienna. È molto simile ad un pianoforte verticale, ma la sua cassa armonica è a forma piramidale.
cabinet: in italiano significa armadio; fu costruito per la prima volta in Inghilterra nella prima metà del XX secolo. Le caviglie e il somiere sono sulla sommità, mentre l'attacco delle corde è vicino al pavimento. Questa disposizione fu inventata contemporaneamente sia dall'inglese John Isaac Hawkins (1772-1855) che dal viennese Matthias Müller (1770 ca.-1844). Ha la meccanica English sticker action e a baionetta.
pianino: fu inventato a Parigi nel 1815 da Ignaz Josef Pleyel e commercializzato con il nome di "pianino". Parte della meccanica fu però svluppata da Robert Wornum (1780-1852) intorno al 1810: egli applicò al pianoforte verticale un sistema di corde incrociate diagonalmente così da non dover ridurre la loro lunghezza nonostante le dimensioni ridotte dello strumento. Nel 1826 creò la meccanica a baionetta (english tape action), che derivava dalla english sticker action.
rettangolare (o a tavolo): la pianta è rettangolare; la tavola armonica sta sulla destra, mentre la tastiera è a sinistra. Il primo modello fu realizzato nel 1766 da Johannes Zumpe (1726-1790) a Londra. Ebbe un notevole successo verso le fine della seconda metà del Settecento prima in Inghilterra e poi in tutta Europa, grazie alle dimensioni ridotte e al basso costo, nonché al gradevole suono che produceva. Fu usato soprattutto in ambito domestico, ma in seguito venne sostituito dal modello verticale.
pianola: la pianola è un apparecchio musicale automatico, senza sfumature di tono automatico. Il nome pianola deriva da una marca della Aeolian Company di New York City. In Germania la Ditta Hupfeld di Lipsia produsse un sistema simile, chiamato Phonola. Le prime pianole furono prototipi; non avevano alcun sistema tecnico nella tastiera, ma suonavano con dita in legno imbottite su un pianoforte o pianoforte a coda, posatovi di fronte.
digitale: il pianoforte digitale è uno strumento integralmente elettronico, particolarmente mirato però a riprodurre le sonorità ed il tocco del pianoforte acustico.
tastiera: la tastiera è uno strumento musicale elettronico in grado di riprodurre i timbri di molti strumenti musicali attraverso un sintetizzatore, azionato mediante la pressione di tasti, analoghi a quelli del pianoforte. Spesso è munita di altoparlanti interni, mentre alcuni modelli necessitano di essere collegati a cuffie o amplificatori esterni.
elettrico: il pianoforte elettrico è uno strumento musicale elettromeccanico a tastiera molto in voga negli anni '60 e '70, appartenente alla categoria degli elettrofoni. Il primo modello fu costruito dalla C. Bechstein Pianofortefabrik nel 1931, era un pianoforte a coda munito di pick-up elettromagnetici ed aveva nome Neo-Bechstein.
da viaggio: è un modello che risale alla seconda metà del XVIII secolo. La sua meccanica è semplice e senza scappamento (Prellmechanick). È uno strumento portatile e non ha supporti particolari, ma solo delle maniglie per il trasporto. Non viene più utilizzato.
nécessaire: è sostanzialmente un mobile abbastanza piccolo con cassetti e scompartimenti, destinato all'uso femminile, con all'interno una tastiera. Risale al XIX secolo, ma è ormai caduto in disuso.
per fanciulli nécessaire: è uno strumento di piccole dimensioni, fatto su misura per i bambini piccoli. La meccanica è molto semplice e non è provvisto di particolari supporti. Anche questo modello non è più utilizzato e di conseguenza non esiste più.
SASSOFONO

Il sassofono, saxofono, o semplicemente sax è uno strumento musicale ad ancia semplice della famiglia degli aerofoni. Il sassofono è inserito nella famiglia dei legni poiché, nonostante il corpo dello strumento sia normalmente di metallo (spesso di ottone, motivo per cui viene spesso impropriamente inserito tra gli ottoni), l'emissione del suono è provocata dalla vibrazione di un'ancia, costruita in legno. Inoltre, la lunghezza della colonna d'aria (e quindi l'altezza del suono prodotto) viene modificata attraverso dei fori sul corpo dello strumento (controllati da chiavi). Fu inventato da Adolphe Sax nel 1841 e brevettato il 22 giugno del 1846. Ha avuto una grandissima e veloce espansione in moltissimi generi musicali grazie alle sue doti di espressività e duttilità.
In generale la famiglia dei sax è presente in quasi tutti i generi musicali moderni (anche se è meno rappresentato nel rock e nella musica elettrica in generale): anche la recente tendenza verso la musica sintetica e campionata ha solo scalfito la sua popolarità. A causa della sua recente invenzione, nella musica classica il sassofono è un po' penalizzato dalla limitata letteratura, ma è tuttavia presente, anche con ruoli di rilievo, nelle orchestre sinfoniche (si ricordi l' assolo per sax alto in Il Vecchio Castello dai Quadri di un'esposizione di Mussorgsky orchestrati da Maurice Ravel nel 1922). Esiste inoltre un crescente corpus di musica cameristica originale per sassofoni (spesso in quartetto) e di trascrizioni. Dotato di una voce potente e di grande proiezione di suono, il sassofono ha un vasto uso bandistico (ad esempio è molto impiegato nelle bande militari americane): per questo motivo fu quasi subito presente nelle prime formazioni jazz, un genere musicale di cui è diventato il simbolo.

[modifica] Tipi di sassofono
La famiglia dei sassofoni, come concepita da Adolphe Sax, ha 14 membri, di cui solo sei sono ancora in uso. In ordine di crescente altezza gli strumenti sono:

Jay C. Easton e la sua famiglia di sax: contrabasso, basso, baritono, tenore, C melody, alto, mezzo-soprano in Fa, soprano, soprano in Do, sopranino. (foto Adrienne Easton)
il sassofono subcontrabbasso in Sib: progettato da Adolphe Sax, non fu mai realizzato né da lui né in seguito. Esiste solo come tubax in Sib. La sua estensione è un'ottava sotto il sax basso.
il sassofono contrabbasso in Mib: estremamente ingombrante, pesante e raro (pare che al mondo ne esistano solo sei funzionanti). Una versione più maneggevole e suonabile è stata realizzata nel 1999: il tubax in Mib. Si tratta di uno strumento di concezione diversa, dal canneggio meno conico e più ergonomico, in qualche modo simile ad un sarrusofono ad ancia semplice). La sua estensione è un'ottava sotto il baritono.
il sassofono basso in Sib: anche questo è uno strumento che s'incontra raramente, con estensione di un'ottava sotto il tenore. Costituisce il basso fondamentale dell'orchestra standard di sassofoni (12 elementi, dal sopranino al basso).
il sassofono baritono in Mib: è il sassofono di uso comune dall'intonazione più grave: viene suonato abitualmente senza particolari supporti (mentre gli strumenti più gravi vengono normalmente appoggiati a terra tramite treppiedi o sostegni simili). Tra i sassofoni comuni, si distingue per le dimensioni e la caratteristica voluta del collo. La sua estensione, una quarta sotto il tenore, va dal Reb3 al La5. Spesso viene realizzato con la campana allungata per poter suonare anche il La grave (Do3 reale).
il sassofono tenore in Sib: la sua estensione è una quarta sopra il baritono (dal Lab3 al Mi6). Di uso comune, incarna l'immagine del sassofono nell'iconografia popolare. Si riconosce per via della caratteristica "gobba" del collo.
il sassofono C melody (C-Melody sax) in Do, un tenore non traspositore, oggi è molto raro.
il sassofono contralto o "alto" in Mib: di uso comune, è esteso a partire da una quarta sopra il tenore (dal Reb4 al La6). Tra tutti gli strumenti della famiglia, è quello che offre il miglior compromesso tra dimensioni, peso, imboccatura, ergonomia delle mani e problemi d'intonazione: per questo motivo è spesso consigliato come primo strumento.
il sassofono mezzo-soprano in Fa: sorta di contralto più piccolo, dal collo tipicamente inclinato di circa 45 gradi rispetto al fusto. Fu prodotto in forma diritta dalla Conn con il nome di Conn-O-Sax: questo era una sorta di incrocio tra il sassofono e l'heckelphon, dalla caratteristica campana a pera. A causa dello scarso successo commerciale molti strumenti furono utilizzati in fabbrica per insegnare agli apprendisti i principi della riparazione e costruzione degli strumenti (e quindi distrutti). Entrambe questi strumenti sono oggi molto rari.
il sassofono soprano in Sib: esteso a partire da una quarta sopra il contralto, dal Lab4 al Mi7. Normalmente diritto, esiste anche in versione curva. I problemi di costruzione (i fori portavoce sono molto piccoli) lo hanno reso per molto tempo uno strumento con gravi problemi d'intonazione limitandone l'uso. Nella musica moderna è tornato in auge a partire dagli anni 1940, grazie a Sidney Bechet e John Coltrane. Il timbro è tipicamente nasale e sottile. Si tratta del più acuto sassofono di uso comune.
il sassofono soprano in Do: come il C-melody, intonato un'ottava sopra. Estremamente raro.
il sassofono sopranino in Mib: molto raro, strumento più acuto della tipica orchestra di sassofoni.
il sassofono sopranissimo in Sib: questo raro strumento fu messo a punto da Benedikt Eppelsheim nel 2002 ed è stato battezzato "soprillo" dall'inventore. Di dimensioni pari a quelle di un ottavino, la sua costruzione ha richiesto l'applicazione di un foro portavoce dentro al bocchino.
La famiglia di strumenti tagliati in Do e in Fa, per uso orchestrale, proposta e realizzata da Sax, è oggi completamente caduta in disuso, anche se il 'C melody sax' conobbe un momento di popolarità agli inizi del secolo scorso.
Il tedesco Benedikt Eppelsheim produce sax speciali agli estremi della scala tra cui i già citati tubax e soprillo: la particolarità del suo sforzo consiste nel produrre strumenti effettivamente suonabili (mentre già il normale sax basso è notorio per avere orrendi problemi di intonazione). Ad esempio, il sassofonista statunitense Anthony Braxton, che da sempre ama confrontarsi con strumenti inusuali, si è prodotto in performance con il tubax. Nei pochi anni dall'invenzione, sono già stati prodotti più tubax che sax contrabbassi ordinari.

[modifica] Sassofoni eterodossi
Nel corso degli anni e soprattutto tra gli anni '20 e gli anni '50 del ventesimo secolo, quando il sax andava molto di moda, furono inventati molti strumenti simili al sax, dal saxello (sax soprano semicurvo, somigliante ad una S allungata: oggi di uso raro), al manzello (un saxello modificato su specifiche di Roland Kirk), allo stritch (un contralto diritto), a strumenti col canneggio estremamente sottile (Rotophone Bottali). La maggior parte di questi strumenti fu dimenticata, come accadde al sarrusofono (di cui il rotophone Bottali era un ibrido). Unico tra i concorrenti del sax ad avere una certa vita individuale e un repertorio, questo strumento ad ancia doppia fu inventato da Pierre Auguste Sarrus e prodotto da Pierre-Louis Gautrot nel 1856 in concorrenza con Adolphe Sax (il combattivo Sax citò entrambi in tribunale, perdendo però la causa). Il sarrusofono rivide per poco la luce della ribalta ad opera di Sidney Bechet, prima che quest'ultimo si desse al sax soprano.

[modifica] Storia del sassofono

Adolphe Sax
Il belga Antoine Joseph Sax, detto Adolphe Sax (1814-1894), cercò per tutta la vita di perfezionare gli strumenti a fiato: inventò dispositivi per migliorarne l'intonazione, il suono e la facilità di esecuzione, depositando 33 brevetti.
Dopo essersi concentrato su vari aereofoni, e soprattutto sui clarinetti, Sax costruì uno strumento che univa l'imboccatura ad ancia semplice del clarinetto, un sistema di chiavi ispirato al clarinetto, all'oboe ed al flauto ed un canneggio conico in metallo. Questo "ibrido", pur appartenendo alla famiglia dei legni ed avendone la flessibilità tecnica, permette un grande volume di suono, paragonabile a quello degli ottoni. Si trattava di un sassofono baritono in Fa, di cui costruì un primo prototipo nel 1842 a Parigi.
Nel 1844, il sassofono fu presentato al pubblico per la prima volta all' Esposizione industriale di Parigi. Il 3 febbraio dello stesso anno il compostore Hector Berlioz, grande amico di Sax, diresse in concerto il suo corale Canto Sacro (Hymne Sacrée), che aveva parti per sassofono. In dicembre il sassofono debuttò all'orchestra del Conservatorio di Parigi nell'opera di Georges Kastner, "Le Dernier Roi de Juda".
Berlioz elogiò più volte lo strumento, a partire da un celebre articolo del giugno 1842 fino al lusinghiero capitolo dedicato al sassofono nel celebre "Trattato di strumentazione".
Il 21 marzo 1846, Sax depositò il suo brevetto per « una famiglia di strumenti a venti chiavi detta dei Sassofoni » che comprendeva otto strumenti. La riorganizzazione della musica reggimentale e l'adozione, nel 1845, degli strumenti di Sax (sassofoni, saxhorn, saxtrombe e saxtube) da parte delle bande dell'esercito francese, misero Sax nella posizione di avere il monopolio per la fornitura dei suoi strumenti. Per promuovere questo esito, egli aveva organizzato un pubblico "scontro" tra due bande, il 22 aprile 1845 al Champ de Mars, cui parteciparono 20.000 spettatori ed una giuria qualificata. I 45 elementi che suonavano strumenti tradizionali furono surclassati dai 38 elementi dotati di strumenti inventati o perfezionati da Sax.
Il suo brevetto scadde nel 1866 e la ditta Millerau fece brevettare il Saxophone-Millereau, con una chiave biforcata per il Fa#. Nel 1881, Sax estese il suo brevetto originale, allungando la campana per alloggiarvi il foro del Sib grave e aggiungendo un portavoce per poter suonare il Fa# e il sol acuti.
Tra il 1886 e il 1887, l' Association Des Ouvriers inventò la chiave del trillo per la mano destra, il sistema dei mezzi fori per le prime dita della mano, l'anello di regolazione dell'accordatura e ll chiave doppia e perfezionò il meccanismo per cui la chiave del sol diesis poteva essere tenuta premuta assieme a qualsiasi dito della mano destra e apportò altre migliorie al Fa# biforcato e al Sib grave. Nel 1888, Lecomte inventa la chiave d'ottava semplice e dei sistemi di rulli per il modello Contrabbasso in Mib.
Sax fu il primo insegnante di sassofono al Conservatorio Superiore di Parigi, dal 1857 fino alla chiusura nel 1870 dovuta alla guerra franco-prussiana. In Italia, il Conservatorio di Bologna adottò gli strumenti di Sax su consiglio di Gioacchino Rossini nel 1844.
Dopo alterne e tempestose vicende, l'industrioso e geniale Adolphe Sax morì in miseria a Parigi nel 1894.
La società "Adolphe Sax & Cie" fu acquistata dalla società "H.Selmer & Cie" nel 1928 (il primo sassofono Selmer - il modello 22 - era uscito nel 1921). Da allora la Selmer ha contribuito a migliorare lo strumento con il quale aveva conquistato i mercati europei e americani, conquistandosi una posizione d'eccellenza che dura ancora oggi. La maggior parte dei fabbricanti di sassofoni (Buffet-Crampon, Millereau, Gautrot, Couesnon) presenti in Francia alla fine del XIX secolo, sono stati gradualmente sopiiantati da marchi internazionali quali Adler, Huller (Germani), Keilwerth, Yamaha e Yanagisawa (Giappone), che talvolta ravvivano a fini commerciali famosi marchi del passato (è il caso dell'italiana Grassi, il cui nome è di recente risorto grazie ad un fabbricante coreano). Esistono inoltre innumerevoli marchi commerciali ("stencil") applicati a strumenti economici da studio prodotti in grande serie da aziende poco note (basate soprattutto a Taiwan) e destinati al mercato dei principianti.

[modifica] Anatomia dello strumento

Chiavi di un sassofono (sax tenore)
Il sax deriva dal clarinetto come suggerisce la somiglianza di forma tra un clarinetto basso e il sax. Dopo aver realizzato clarinetti tradizionali, Adolphe Sax sperimentò clarinetti a 24 chiavi e clarinetti bassi completamente in ottone, fino ad arrivare al sax. Rispetto al clarinetto, che ha un corpo cilindrico, l'inventore adottò un canneggio conico che permetteva una maggiore proiezione del suono e consentiva di mantenere le stesse posizioni delle dita (diteggiatura) per l'ottava grave e quella acuta.
Il sassofono è composto da cinque elementi principali: il bocchino, il collo (o chiver (EN) ), il fusto, le chiavi e la campana. Negli strumenti di uso più comune (contralto, tenore e baritono) il bocchino e il collo sono separati e vengono montati sul corpo prima che lo strumento venga suonato. Corpo, chiavi e campana invece, costituiscono un corpo unico. Nel sax soprano, il collo talvolta è parte integrante dello strumento, talvolta è staccabile.
Il sassofono viene suonato in piedi o seduti (più spesso per i modelli più pesanti o in situazioni orchestrali), ed è sospeso al collo del musicista tramite un apposito nastro (detto collarino) agganciato al corpo dello strumento. Esistono inoltre innumerevoli modelli di imbragature per scaricare più ergonomicamente il peso dello strumento. Sul corpo dello strumento è anche avvitato un gancio ricurvo nel quale viene inserito il pollice della mano destra dello strumentista per dare stabilità allo strumento durante l'esecuzione.

[modifica] Tecniche costruttive
Le parti metalliche del sassofono vengono lavorate secondo le più disparate tecniche della metallurgia.
Anticamente il lavoro veniva svolto a mano: le lastre metalliche piane venivano avvolte intorno ad appositi stampi conici e saldate. La forma svasata della campana veniva ricavata tramite martellatura su apposite incudini in legno. I fori venivano praticati con apposite frese ed le proiezioni cilindriche che fungono da appoccio alla chiave chiusa (detti caminetti) saldati sui fori. Questo tipo di lavorazione è oggi riservata a strumenti artigianali di particolare pregio o a leghe metalliche che poco si adattano alla lavorazione meccanica.Nella moderna produzione in serie trovano ampio uso le presse ed una tecnica che prevede l'introduzione di acqua ad alta pressione all'interno dei fusti grezzi, per far aderire il metallo all'interno dello stampo conico. Inoltre i caminetti vengono normalmente estrusi da apposite macchine a controllo numerico: questo procedimento, che evita gli spigoli irregolari spesso lasciati dalle procedure di saldatura all'interno del corpo, ha anche l'effetto di migliorare l'acustica dello strumento.
La lavorazione del fusto del sassofono prevederebbe una cosiddetta cottura, cioè una fase di lavorazione in cui il fusto viene portato ad alte temperature per favorirne la successiva risposta alle vibrazioni sonore. L'occhio esperto dell'artigiano è fondamentale per questo tipo di lavorazione. Successivamante vengono saldate a stagno tutte le colonnette su cui gireranno le chiavi ed altri elementi. Infine si cura la finitura superficiale (lucidatura, incisioni decorative, verniciatura o placcatura).
Per la lavorazione delle chiavi ed altre informazioni, si veda alla voce relativa.
Infine, rimane insostituibile il lavoro manuale in tutte le fasi di montaggio, rifinitura e regolazione: queste lavorazioni vengono svolte con cura nel caso di strumenti professionali, con maggiore fretta e scarsa attenzione ai particolari nel caso di produzione in grande serie (per ovvi motivi di economia).

[modifica] Il materiale
La maggior parte dei sassofoni è realizzata in leghe metalliche (che per gli strumenti di qualità è quasi sempre ottone) a qui viene applicata una finitura superficiale che può consistere di una laccatura lucida o da finiture con aspetto grezzo (a volte dette "brass") abbastanza di moda negli ultimi anni. Esistono anche strumenti con laccature colorate. Prima del 1960 erano abbastanza diffusi sassofoni economici placcati in nickel, mentre fino agli anni '30 (in assenza di vernici adeguate) gli strumenti erano placcato in argento (o oro) oppure lasciati privi di finitura. La campana è generalmente decorata con incisioni.
La funzione della laccatura è soprattutto estetica e di protezione dalla corrosione, essendo abbastanza diffusa l'opinione che l'influsso della finitura superfciale sul suono del sassofono sia nulla o limitata (anche se alcuni sostengono il punto di vista opposto). L'influenza del materiale sul suono del sassofono è oggi oggetto di discussione, al punto che diverse aziende costruttrici hanno in catalogo strumenti interamente in argento, in rame, in bronzo o in varie leghe. Nella scelta del materiale subentrano all'opposto anche ragioni di tipo tecnologico ed economico: gli strumenti più economici sono prodotti con leghe morbide di facile e veloce lavorazione.
Nel corso degli anni, sono stati sperimentati, con poca fortuna, altri materiali, quali ad esempio il legno. Negli anni 1950 e 1960 ebbe una certa diffusione un sassofono in plastica, prodotto dalla ditta inglese Grafton, che ebbe un suo periodo di notorietà durante il quale fu usato da alcuni importanti solisti, fra cui Charlie Parker[1] e Ornette Coleman.[2] Lo strumento presentava alcuni inconvenienti: alcune chiavi erano diverse (richiedendo un opportuno periodo di pratica), e nel caso di rottura del fusto in plastica (relativamente frequente in caso di cadute) era necessario sostituirlo o fondere la plastica; inoltre il suono era piuttosto esile e lamentoso.

[modifica] L'ancia

Ancie per sassofono contralto e tenore
L'ancia è una lamina sagomata di legno (ricavata dai fusti di canna comune, arundo donax, specie del genere arundo). Esistono anche ance ricoperte di plastica o realizzate in altri materiali (plastica, fibra di vetro, fibra di carbonio). Queste sono più omogenee e si adattano meglio del legno alle condizioni estreme di temperatura ed umidità, ma non hanno il calore del suono proprio del legno.
Negli strumenti ad ancia semplice (come i sassofoni), il suonatore comprime l'ancia tra il labbro inferiore (che tiene ripiegato sull'arcata dentale per conferirgli rigidità) e la superficie piana del bocchino e soffia. Il getto d'aria così prodotto, oscillando dentro e fuori il canale delimitato dalla superficie dell'ancia e dalla cavità del bocchino, pone in vibrazione l'ancia stessa che funge così da emettitore del suono.
L'ancia viene fissata al bocchino tramite un elemento detto legatura, che oggi è una fascetta realizzata in metallo o materiale sintetico: il nome deriva dal fatto che in passato veniva utilizzato a questo scopo del comune spago (cosa che alcuni strumentisti - soprattutto clarinettisti di scuola tedesca - fanno ancora oggi)

[modifica] Il bocchino

Tre viste di un bocchino per sax contralto (bocchino marca Bari)
Il suonatore di sassofono produce il suono applicando le labbra al bocchino, fissato all'estremità più sottile dello strumento. Il bocchino (rappresentato in figura), di dimensioni variabili a seconda dello strumento a cui viene applicato, è realizzato in ebanite, in metallo (per un suono più aggressivo) o in tonolite (un minerale di quarzo), e modernamente anche in plastica. In passato furono usati anche il legno ed il vetro e alcuni produttori utilizzano ancor oggi legni pregiati, nonostante la fragilità del materiale e la sua tendenza a deteriorarsi al contatto con l'umidità del fiato. Il materiale influisce comunque marginalmente sulla qualità del suono: generalmente parlando, l'ebanite ha un suono caldo e morbido, mentre il metallo dà un suono più aggressivo. Il timbro è determinato comunque in misura determinante da altre caratteristiche costruttive e dalla scelta dell'ancia (vedi oltre).
Il bocchino del sax è molto simile al bocchino del clarinetto dal quale deriva: internamente cavo, presenta un'estermità sottile (detta labbro) e - sulla faccia piana alla quale viene fissata l'ancia - una fenditura arrotondata che comunica con una cavità risonante interna (la camera): da qui vibrazioni vengono trasmesse al resto dello strumento attraverso l'accoppiamento con il collo.

Bocchini per sax tenore in ebanite e in metallo
La faccia inferiore del bocchino è la superficie che contrasta l'ancia in vibrazione ed ha un profilo curvo (mostrato in figura), la cui forma ha una grande importanza nella determinazione dei parametri della vibrazione dell'ancia e del suono dello strumento.
La forma di questa curva e la forma della camera risonante interna al bocchino, assieme al suo accoppiamento con l'ancia e a alla scelta di quest'ultima sono tra i parametri che determinano il suono dello strumento (un altro di questi parametri è la forma del collo strumento): l'influenza del resto dello strumento è assai inferiore.
Il bocchino viene infilato sul collo dello strumento che ha una forma conica ed è, nella parte iniziale, rivestito da un foglio di sughero (spesso lubrificato con appositi prodotti di consistenza cerosa) cosa che permette allo strumentista di regolare l'intonazione dello strumento variando la posizione del bocchino sul collo: a posizioni più avanzate, che diminuiscono la lunghezza ed il volume del sistema risonante, corrispondono intonazioni più acute.

Chiver di sax tenore e assemblaggio di ancia, bocchino e chiver di un sax contralto

[modifica] Le chiavi
Le chiavi servono per chiudere e aprire i fori presenti nel fusto dello strumento, allo scopo di variare la lunghezza della colonna d'aria in risonanza all'interno dello strumento producendo così note di diversa altezza. Per il loro funzionamento, vedi la voce apposita.
I sassofoni moderni hanno in media 23 piattelli premuti da nove dita del musicista: il pollice destro viene usato come punto di appoggio per assicurare l'equilibrio dello strumento. Il pollice sinistro poggia su un apposito bottone e concorre a controllare lo strumento. Inoltre, con la punta, aziona il portavoce: questa è una chiave che, a parità di posizione, permette l'esecuzione delle note nella seconda ottava. Inoltre si utilizzano il palmo della mano sinistra (note della terza ottava, dal Re al Fa# e sopracuti) e la prima falange dell'indice destro (Sib e varie posizioni della terza ottava e sopracuti).
Secondo la tecnica tradizionale, ogni chiave è associata ad un dito ben preciso, ed il suo piattello è posizionato nel punto più adatto ergonomicamente: per alcuni passaggi tecnici si possono utilizzare posizioni delle dita eterodosse. Esistono inoltre artigiani specializzati nella realizzazione di strumenti adatti a persone prive di qualche falange o addirittura di un'intera mano.

[modifica] Tecnica

[modifica] Notazione e ed estensione
Il sassofono è uno strumento traspositore. Questo significa che gli spartiti, per tutti i sax, vengono scritti nella stessa chiave (la chiave di violino) e nella stessa estensione (dal sib sotto al rigo al fa diesis sopra al rigo in chiave di violino, con poche eccezioni) ma il risultato sonoro è diverso a seconda dello strumento utilizzato. In altre parole, la nota effettivamente prodotta (nota reale) leggendo e suonando la stessa nota di posizione su due sax diversi è diversa: così un Do scritto corrisponde a un Mib reale per un sax contralto e a un Sib reale per un sax tenore. In entrambi i casi gli strumentisti diranno "Sto suonando un Do", magari aggiungendo "..cioè un Mib/Sib reale" o "d'effetto" a beneficio degli altri componenti dell'ensemble.
Grazie a questa convenzione un sassofonista può cambiare strumento agevolmente (ad una nota scritta corrisponde sempre la stessa posizione delle dita) ma è obbligato a leggere musica scritta espressamente per il suo strumento. Questa notazione, inoltre, elimina la differenza in altezza tra le estensioni dei diversi strumenti: lo stesso Do - scritto - suonato da un sax contralto e da un sax baritono produce note distanziate da un intervallo di ottava. In assenza di questa convenzione, gli strumenti più gravi della famiglia dovrebbero leggere in chiave di basso, cosa che effettivamente avveniva in passato. Per la famiglia di sax oggi più diffusa (in Sib e in Mib) vengono dunque prodotti spartiti rispetto ai quali le note reali sono, rispettivamente, un tono sotto e un tono e mezzo sopra.
Questa circostanza dà ragione della popolarità, nella prima metà del 1900, del "C melody sax". Questo strumento, che era intonato in Do, non richiedeva la produzione di spartiti speciali, che all'epoca era piuttosto costosa: lo strumentista poteva leggere direttamente la musica per pianoforte (il suono risulta un'ottava sotto). Per questo il C Melody Sax si diffuse tra i musicisti in servizio nelle orchestre da ballo, ad esempio quelle impiegate sulle navi da crociera.
In passato si usava dire che gli strumenti in Sib venivano scritti in "chiave di tenore", mentre quelli in Mib in "chiave di basso". Questa prassi contrasta con la realtà delle cose (tutta la musica per sax è scritta con la chiave di violino e gli accidenti opportunamente modificati, da sempre) e crea altri problemi, ma offre il vantaggio di poter definire immediatamente ogni suono scritto con il suo nome reale. Il musicista che segue questa convenzione fittizia non dice "Sto suonando un Do" quando suona una nota nel quarto spazio, ma la chiama direttamente "Si bemolle" o "Mi bemolle" a seconda dello strumento che ha in mano.

[modifica] Bocchino e imboccatura
La rigidità del sistema formato da bocchino ed ancia è determinata dalla durezza dell'ancia e dalle dimensioni del bocchino. Ogni strumentista trova con gli anni un proprio equilibrio tra la necessaria resistenza alla vibrazione (che comporta affaticamento ma permette il controllo del suono) e la facilità di emissione: questo equilibrio è la base del suono di ogni strumentista. Il giusto compromesso varia da persona a persona e permette di produrre un suono "bello" (secondo i paramenti del musicista) senza eccessiva fatica.
In un bocchino, l'apertura indica lo spazio lasciato fra la punta dell'ancia e la punta dell'imboccatura. Questa è dovuta alla curvatura della faccia inferiore del bocchino e viene misurata dai produttori con una serie di speciali calibri. Ogni produttore poi assegna ai propri bocchini una sigla che ne esprime l'apertura ed altre caratteristiche: purtroppo il sistema di sigle è diverso a seconda del produttore il che rende arduo confrontare bocchini di diversa produzione (scopo al quale vengono costruite speciali tabelle).
Un altro parametro importante è la lunghezza di ancia libera di vibrare, ovvero il punto in cui comincia la curvatura del bocchino. Una porzione di ancia libera molto lunga aumenta, assieme alla sensazione di rigidità o durezza dell'imboccatura, il volume del suono così come la sua aggressività. Effetti simili (maggior volume e - in misura minore - aggressività) si ottengono aumentando la rigidità (durezza) dell'ancia. Inoltre aperture maggiori rendono più problematico il controllo della pulizia del suono e dell'intonazione da parte del sassofonista.
In linea generale, la pratica classica, normalmente insegnata nei conservatori, richiede bocchini di piccola apertura e ance molto dure (ance troppo morbide si fletterebbero troppo sotto la pressione del labbro del musicista ed occluderebbero il passaggio dell'aria), mentre la musica leggera incoraggia l'uso di bocchini aperti ed ance più morbide.
Questa differenza si riflette in maniera marcata nelle qualità sonore del sax classico, che è più chiuso e si avvicina quasi al suono di un corno e del sax moderno che preferisce esaltare (a scapito della pulizia sonora) gli aspetti di colore del suono facendo anche ricorso ad effetti peculiari che possono coinvolgere l'uso della gola (growl) o della lingua (slap). Inoltre questa combinazione ancia-bocchino offre una maggiore presenza sonora (alto volume e suono chiaro) e permette di modificare l'intonazione fine di ogni nota a fini espressivi.